Inclusività nel mondo del lavoro: da slogan a pratica
- Evelina Carretto
- 6 ott
- Tempo di lettura: 2 min
Negli ultimi anni l’inclusione è diventata una parola chiave nelle politiche aziendali, nei programmi di formazione e nelle strategie di employer branding.
Ma quante volte rischia di rimanere uno slogan senza ricadute reali?
Per trasformarla in pratica quotidiana serve consapevolezza, conoscenza e soprattutto l’impegno di ciascuno di noi.
❀ Inclusione e psicologia: il bisogno di appartenenza
La psicologia sociale ci ricorda che uno dei bisogni fondamentali dell’essere umano è il bisogno di appartenenza (Maslow, 1943). Sentirsi accettati e riconosciuti aumenta la motivazione, il benessere e la performance.
Inoltre, la teoria dell’identità sociale (Tajfel & Turner, 1979) spiega come le persone tendano a definire se stesse in base al gruppo di appartenenza. In un ambiente di lavoro inclusivo, ogni identità (di genere, etnica, culturale, linguistica, legata alle abilità, all’età o all’orientamento) viene valorizzata e riconosciuta come risorsa, riducendo fenomeni di esclusione o discriminazione.
☆ Il linguaggio come strumento di inclusione
Il linguaggio che utilizziamo ogni giorno è un riflesso della nostra cultura e dei nostri schemi mentali. La psicologia del linguaggio ci mostra come parole e metafore possano influenzare percezioni, emozioni e comportamenti.
Un linguaggio inclusivo non è solo “politicamente corretto”, ma uno strumento di rispetto e riconoscimento che permette a chiunque di sentirsi rappresentato.
✓ Mini-test: Quanto è inclusivo il tuo linguaggio?
Prova a rispondere con Sì/No a queste 5 domande:
1. Quando ti rivolgi a un gruppo di persone usi forme neutre come “ciao a tutte e tutti” oppure “ciao a tuttə”?
2. Nelle tue email o comunicazioni aziendali eviti espressioni stereotipate come “lui è forte, lei è sensibile”?
3. Usi esempi professionali che tengono conto di diversi generi, età e background culturali?
4. Ti correggi quando ti accorgi di aver usato un termine potenzialmente escludente?
5. Sei disposto/a a chiedere alle persone come preferiscono essere nominate (es. pronomi, denominazioni di ruolo)?
Risultati:
* 4-5 “Sì”: il tuo linguaggio è già molto inclusivo, continua così!
* 2-3 “Sì”: sei sulla buona strada, ma puoi migliorare con maggiore consapevolezza.
* 0-1 “Sì”: è il momento giusto per formarti e allenarti all’uso di un linguaggio più rispettoso e rappresentativo.
► Conclusione
L’inclusività non è un obiettivo da raggiungere una volta per tutte, ma un processo continuo di apprendimento e adattamento. Parte dal linguaggio, passa attraverso le pratiche organizzative e si radica nella cultura aziendale. Non basta proclamarla: bisogna viverla ogni giorno.




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